Infarto: una sfida per clinici e patologi - Simla

2023-01-12 14:37:20 By : Mr. Darcy Liu

La redazione di SIMLAWEB è lieta di presentarvi un pregevole contributo inviato dal Dott. Francesco Lupariello e dal Dott. Luca Sussetto, dell’Istituto di Medicina Legale di Torino, in relazione al recente infortunio di Damar Hamlin, giocatore di footbal americano dei Buffalo Bills.

Il 02/01/2023, nel corso del Monday Night della 17esima giornata del campionato NFL, il ventiquattrenne Defensive Back dei Buffalo Bills si è accasciato poco dopo aver effettuato un tentativo di placcaggio sul Wide Receiver Tee Higgins dei Cincinnati Bengals. I sanitari richiamati dall’arbitro dell’incontro hanno rilevato ACC ed attuato prontamente manovre di Advanced Life Support. La revisione dei fotogrammi dell’infortunio ha consentito di identificare un violento impatto in regione sternale.

Secondo quanto riportato dalla testata giornalistica npr.org, il motivo della repentina perdita di coscienza del giocatore sarebbe da identificare nel raro fenomeno della commotio cordis (CC). Tale trauma avrebbe, infatti, scatenato nello sportivo un evento aritmico acuto con necessità di rianimazione cardiopolmonare e successivo ricovero in regime di terapia intensiva.

In base a quanto proposto da Maron nel 1999, la CC è caratterizzata dall’insorgenza improvvisa e istantanea di un arresto cardiaco causato dall’impatto di un corpo contundente non penetrante contro la superficie toracica, in assenza di patologie cardiache e di lesioni di tipo morfologico del torace e del cuore stesso. Di orizzonte lievemente più ampio, la visione di Nesbit che, nel 2001, descriveva la CC come “la stimolazione meccanica, non penetrate, causata da un impulso in regione precordiale che, in ragione di meccanismi intrinseci cardiaci, elicita perturbazioni del ritmo cardiaco in assenza di danni strutturali”.

Indipendentemente dalla definizione prescelta, si rileva come la CC sia tipicamente osservata in soggetti giovani, magri e con compliance marcata della gabbia toracica. Risulta infatti dimostrato come l’impulso che agisce sul torace abbia necessità di un buon grado di elasticità dei tessuti superficiali, muscolari ed ossei, per essere trasmesso al cuore; caratteristica questa propria di soggetti al di sotto dei 30 anni. La CC è tipicamente il risultato di un trauma occorso durante l’attività sportiva; sono, in aggiunta, riportati eventi legati ad incidenti d’auto ovvero ad aggressioni.

Molti sono i fattori coinvolti in questo fenomeno. La letteratura dimostra come sussista una stretta correlazione tra l’insorgenza della CC e il momento del ciclo cardiaco nel quale occorre il trauma. Durante la ripolarizzazione ventricolare, più specificatamente nel corso della fase di salita dell’onda T e prima del suo picco, il tessuto cardiaco sembra essere più suscettibile. È interessante notare come questo periodo occupi solamente l’uno percento di tutto il ciclo cardiaco, anche se risulta d’uopo evidenziare come questa percentuale possa crescere proporzionalmente con l’aumento della frequenza cardiaca. La forza necessaria a causare la CC è stimata nell’ordine di circa 50 Joules, forza trasmessa da una pallina da baseball lanciata a circa 65 km/h.

Corpi contundenti di dimensioni maggiori, al contrario di quanto si possa immaginare, sono connessi ad un minor rischio di CC in quanto un loro impatto incrementa la possibilità di danni strutturali al cuore e/o alla gabbia toracica potendo escludere la CC. Di contro, oggetti con dimensioni ridotte aumentano il rischio di CC in quanto la forza dell’urto è dissipata su una piccola superficie. Si ritiene che la forza meccanica causi lo stiramento delle membrane cellulari miocardiche, attivando i canali ionici presenti nella cellula attraverso un meccanismo detto di accoppiamento meccanico-elettrico. Se un numero sufficiente di questi canali si trova nel periodo critico della ripolarizzazione, la forzata depolarizzazione degli stessi può portare alla fibrillazione ventricolare.

Nell’evenienza in cui tale evento si verifichi, come nel caso testé descritto, per garantire la sopravvivenza sarà necessaria la pronta esecuzione delle manovre rianimatorie e l’eventuale defibrillazione; potranno essere necessari approcci rianimatori più intensivi. La diagnosi in caso di evento non mortale è legata alla testimonianza del trauma e al rilievo dell’aritmia ovvero dell’arresto cardiaco.

Se in ambito clinico-terapeutico la CC rappresenta una significativa sfida per i sanitari nel tentativo di mettere in atto tutte le procedure opportune per garantire la sopravvivenza del/della paziente, in ambito forense l’approccio alla diagnosi non deve essere sottovalutata. Il patologo potrebbe essere chiamato ad effettuare i rilievi necessari nei casi fatali di CC legati ad eventi accidentali ovvero ad eventi traumatici delittuosi. In letteratura sono, infatti, riportati molteplici report di decessi connessi alla CC rinvenienti da aggressioni di diversa natura. Questi casi – come da indicazioni di letteratura – devono essere affrontati dal patologo forense con il rigore metodologico prospettato dalla dottrina medico legale nei casi di morte improvvisa (sudden death).

Ne deriva che in ambito forense non dovrebbe essere accettata come diagnosi definitiva di CC quella basata sulla sola testimonianza di un trauma occorso in regione toracica. Tale diagnosi, infatti, risulterebbe priva delle necessarie fondamenta per consentire ai magistrati la identificazione delle eventuali responsabilità connesse all’evento delittuoso. Risultano invece mandatori l’esame esterno, la sezione cadaverica, l’esame microscopico, quello tossicologico e la valutazione anamnestica della sussistenza di predisposizione/familiarità di possibili patologie genetiche predisponenti per eventi cardiaci aritmici. Nel caso questi risultino negativi, allora tali risultanze – connesse alla testimonianza diretta dell’evento traumatico da parte di uno o più testimoni – garantirà una diagnosi definitiva di decesso per CC. Sul punto, è bene rilevare come alcuni autori abbiano ipotizzato un ruolo favorente di alcune sostanze d’abuso; tuttavia, tale indicazione non risulta ad oggi suffragata da evidenze scientifiche comprovate.

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