Se Alice fosse rock. L’underground di Bruni/Frongia - Teatro e Critica

2023-01-12 15:40:51 By : Mr. Martin Zhang

Nel sogno è il nascondimento, la latenza, lo smarrimento. Nel sogno è il trionfo degli infiniti mondi possibili sulla realtà, in cui è il magico a emergere per ricostruire gli incontri mancati e sondare le verità taciute. È lì, proprio in fondo alle turbolenze del rimosso, che si sedimenta l’immagine di ciò che non è, la visione di ciò che del desiderio potrebbe ancora essere. In queste profondità abissali, dove la fantasia estrae dal reale le sfumature di un sentimento non ancora perduto, riprende vita il meraviglioso mondo dell’Alice di Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson), di cui Ferdinando Bruni e Francesco Frongia riscrivono la drammaturgia e reinventano le illustrazioni. Il loro è un lavoro ben congegnato e meticoloso; della favola Bruni realizza a mano più di trecento disegni dipinti ad acquerello che vengono proiettati attraverso l’animazione tecnologica di Frongia sui pannelli bianchi del palco, creando un tripudio di colori e ambientazioni da cui i personaggi prendono un corpo diafano, in quanto riflette in trasparenza le cromaticità e le campiture della scenografia proiettata. L’atmosfera che si crea acquista, così, il carattere evanescente di una dimensione al limite tra il mondo reale e quello dell’immaginazione, riempiendo lo spazio teatrale con un escamotage virtuale adatto, e immediatamente “comprensibile”, alle nuove generazioni di bambini a cui lo spettacolo maggiormente si rivolge.

L’Alice di Bruni/Frongia, però, nell’interpretazione cesellata di Elena Russo Arman, non è l’Alice Liddell di Carroll, ma è una bambina dei giorni nostri un po’ leziosa e irriverente ma curiosa e con il bisogno di rifuggire una dimensione che l’annoia. Al posto dell’elegante vestitino biancoceleste e delle ballerine con cui l’universo disneyano l’ha sempre rappresentata, indossa un abito color panna, pomposo e un po’ trasandato, dal sottile gusto rock, mentre i neri, folti, gonfi ricci che le incorniciano il viso e le Converse nere ai piedi la calano nella moda della cultura underground. La scelta del revival della fine degli anni Sessanta è un motivo che insiste nell’intero spettacolo; la cornice musicale crea fluttuazioni sonore che si agganciano ai ricordi di un pubblico più grande, che quegli anni li ha vissuti o li ha sentiti raccontare, e variano dalle canzoni (riarrangiate da Matteo de Mojana) dei Beatles a quelle dei Roxy Music e Rolling Stones, vivificando le filastrocche, i ritornelli, gli indovinelli con un ritmo conosciuto e “familiare” che abita l’inconscio di una cultura condivisa.

Il viaggio ha inizio con la caduta, lo smarrimento: nella “culla del nulla” sprofonda Alice, giunge sul fondo indefinito delle cose e assiste alle trasformazioni repentine del proprio corpo, abita le domande dell’uomo («Una volta sapevo benissimo chi ero. Sapevo dove sarei andata… Credo di aver perduto la mia strada») e rincorre la difficoltà delle risposte, tra selve oscure senza nome e carrozze del treno prive di conducente. E per scoprire l’impenetrabile mondo degli adulti, il percorso onirico della bambina, non più individuale ma collettivo, si popola di creature fantastiche: in esse riconosciamo il frettoloso Bianconiglio, il Bruco e il Ghiro, il sardonico Gatto del Cheshire, il Cappellaio Matto, la Regina Rossa e la Regina Bianca, ma anche l’Unicorno, Humpty Dumpty e l’agghindata Lepre Marzolina, personaggi buffi e spassosi che gli attori Ida Marinelli, Matteo de Mojana, Umberto Petranca indossano in un repentino cambio costume con estrema efficacia, come fossero una seconda pelle. Nello spettacolo il duo registico decide di lavorare, infatti, a partire dalla prima versione del testo dello scrittore britannico, Alice Underground per l’appunto, pubblicata nel 1864 e poi ampliata nell’edizione successiva con Alice nel paese delle meraviglie, ma ad essa infonde alcune scene e personaggi del romanzo successivo Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, in una sovrapposizione integrativa ricca che non fa mancare nulla alle avventure fantastiche della giovane protagonista.

Nell’atmosfera velata da favola, la bidimensionalità del segno illustrato e la tridimensionalità di quello performato dilatano un mondo magico contemporaneo che ripropone al pubblico un continuo scarto visivo. I personaggi ne sono i veri protagonisti, spariscono improvvisamente dietro le quinte per sbucare curiosi da piccoli oblò ritagliati sui pannelli, sono, al tempo stesso, estensione dell’immagine e immagine che si riappropria del corpo. Anche nelle ermetiche frasi non sense il linguaggio ripropone questo sdoppiamento, rompe il legame socialmente stabilito, nega la norma negli scontri linguistici (gustosi i battibecchi tra il Signor Tempo e il Signor Spazio) e coinvolge i più piccini per costruirne una nuova e più libera. Alice, ora, ci guarda partecipi di un reale capovolto, compagni di un viaggio di passaggio, incompiuto ma destinato, tra il mondo dei bambini e quello degli adulti. La scelta di Bruni/Frongia è di abitarne le tappe con una personale reimmaginazione, per ripescare la meraviglia delle cose non ancora perdute.

Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano – Dicembre 2022

uno spettacolo scritto, diretto e illustrato da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

con Elena Russo Arman, Ida Marinelli, Matteo de Mojana, Umberto Petranca

luci Nando Frigerio, suono e programmazione video Giuseppe Marzoli

direzione e arrangiamento delle canzoni Matteo de Mojana

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